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Luigi Melfi

Luigi Melfi


La ricerca pittorica di Luigi Melfi di Vincenzo Toscani:

Non è mai troppo soffermarsi sulla pittura e sull'estro di Luigi Melfi, oriolese di nascita. Nel divenire dell'uomo un momento esaltante è quello della ricerca, che diventa ancor più importante per i pittori e per la loro produzione artistica. La varietà di linguaggio, la continua ricerca, armonicamente conviventi, fanno di Luigi Melfi un degno esponente della cultura meridionale. Luigi Melfi è nato a Oriolo (CS) il 2.2.1927. Diplomato al Liceo Artistico presso l'Accademia di Belle arti di Napoli, si è poi abilitato all'insegnamento di Storia dell'Arte e di disegno per le scuole superiori. Ha partecipato a numerose mostre collettive e a concorsi di pittura estemporanea e non. Cospicuo è il numero delle sue personali nella cornice del Castello Medievale (XIsec.) di Oriolo e della riviera jonica. Dal 1983 è membro dell' A.I.A. (Associazione Italiana Acquerellisti con sede a Milano) e, in qualità di acquerellista, ha partecipato nel 1983 alla mostra nazionale nella Galleria Civica di Monza, nel 1984 a quelle dell'Arengario di Milano e di Villa Olmo di Como, nel 1985 e '86 alla III e IV Rassegna Internazionale al Centro Culturale Banca d'Italia di Roma, nell' ottobre '86 alla Mostra "Omaggio al Duomo" a Milano, nell'87 a Tirano per la Mostra Valettinese. Numerosi sono poi i riconoscimenti, le targhe e le pergamene collezionate.

Melfi consuma la sua esperienza anche nell'espressionismo dove il colore crea la forma e quindi il disegno. Nelle tele della prima maniera troviamo una matrice rifacentesi all'astrattismo e che prepotentemente vuole entrare nel mondo metafisico con un linguaggio elaborato e convincente. Esplodono i colori la cui vivacità ci porta al di là dei confini dell'essere e del reale. E' la pittura dei sogni in cui il paesaggio si sposa all'ermetismo e diventa policromia e polivalenza. In Melfi la ricerca dei puri valori formali è una conseguenza dell'influsso che i naifs ebbero su di lui. Maggiormente negli acquerelli troviamo paesaggi sfumati e delicati che traspaiono tra ampie pennellate di energici colori. Dal surreale passa poi al reale e i diversi filoni si armonizzano in eccellenti toni espressivi particolarmente penetranti: le baite delle desolate campagne si inchiodano sul paesaggio atmosferico dove l'anima cerca il respiro e dove la mente trova il riposo. Nei suoi quadri il pittore recupera i valori universali dell'arte mediante un'interpretazione personale, fantastica, artistica, lirica della realtà che è osservata, sentita ed espressa senza pedanteria. Davanti alla natura e ad un soggetto l'artista soffre, lo sente, lo osserva attentamente e lo filtra attraverso la sua sensibilità secondo il principio aristotelico secondo cui bisogna raccogliere il verosimile con contenuti favolosi e fantastici. Davanti alla realtà dipinge le impressioni fuggevoli della stessa, dominandola al fine di renderla espressivamente personale. Dalla realtà prende solo ciò che è in accordo con le sue idee, dipingendo ciò che ha dentro non ciò che è intorno. In questa astrazione siamo sulla scia degli insegnamenti di Monet, di Cezanne, di Van Gogh. Infatti in Melfi c'è il timbro e l'ebbrezza dell'impressionismo. Sperimentando l'olio e l'acquerello e collezionando ricerca su ricerca, Melfi si è soffermato sull'acquerello per mostrare cosa si può recuperare dei valori della natura, dei valori culturali e storici con la vetusta tecnica che ben si accorda con la fluidità dello spirito e dei sentimenti e non ammette correzioni. Negli acquerelli, dunque, esplode il paesaggio atmosferico spontaneo soprattutto perché questa tecnica non permette ragionamenti troppo sottili, prestandosi bene per esprimere immediatamente emozioni e sensazioni. L'esperienza acquerellistica di Melfi matura nella descrizione del centro storico di Oriolo che lui ama nella realtà e nella sua pittura e questo amore traspare dalle pennellate dolci come carezze perché Melfi accarezza prima col cuore, poi con l'arte, un paesaggio per lui sacro. E questa sacralità è visibile anche nelle forti pennellate, quando glorifica la cattedrale di Oriolo, simbolo della religiosità di questo antico centro dell'Alto Jonio cosentino. Cattedrale e castello medioevale compaiono spesso nella produzione di Melfi forse per ricordare all' osservatore l'antica antitesi dei due poteri: quello temporale della Chiesa e quello civile di una società feudale che, a sprazzi e per certi versi, ritroviamo ancora in alcuni modi anacronistici della gestione del potere politico. Il riferimento ai centri storici ha un doppio significato per Melfi: innanzitutto è la denuncia dello stato di abbandono degli stessi e del loro sgretolarsi sotto l'incessante sferza del tempo, ma contemporaneamente la loro glorificazione per ciò che storicamente hanno rappresentato e rappresentano tutt'ora.

--- a cura del Prof.Vincenzo Toscani ---